Schönberg, in una conferenza su la sua opera scenica La mano felice, tenuta nel 1928 a Breslavia, dichiara:
Da tempo avevo in mente una forma che ritenevo, in realtà, l’unica
con la quale un musicista potesse esprimersi in campo teatrale. L’ho definita… far musica con i mezzi della scena.
Ma che cosa intendeva dire «far musica con i mezzi della scena»? Schönberg stesso ce lo spiega nei seguenti termini:
Non è facile dire che cosa intendevo con ciò, ma proverò a spiegarlo.
In realtà, i suoni, a osservarli con chiarezza e imparzialità, non sono altro che un tipo particolare di vibrazioni dell’aria e, come tali, colpiscono l’organo sensorio interessato, ossia l’orecchio.
Collegandoli, però, fra loro in un modo particolare, essi suscitano certe
sensazioni artistiche e, se mi si consente, anche spirituali.
Ora, poiché questa capacità non è affatto insita nel singolo suono, dovrebbe essere anche possibile, a determinate condizioni, provocare tali effetti con qualche altro materiale: bisognerebbe trattare questi materiali al pari dei suoni; riuscire, senza negare il loro significato di materiale, a fonderli in forme e figurazioni, prescindendo da quel significato, dopo averli misurati, come si fa con i suoni, secondo il tempo, l’altezza, l’ampiezza, l’intensità e molti altri parametri; essere in grado di metterli in contatto gli uni con gli altri, rispondendo a leggi più profonde di quanto non lo siano le leggi del materiale, ossia in base alle leggi di un mondo che fu edificato dal suo creatore tenendo conto della misura e del numero.
Si tratta -secondo Schönberg- di far divenire il materiale scenico un elemento integrato a quello musicale: il suono realizzato in una rispondenza dialettica col materiale scenico, entro cui si prefiguri la forza in azione del suono stesso.
Ovviamente il materiale scenico dev’essere meditato e strutturato secondo lo stesso metodo con cui si medita e si struttura un suono musicale, e viceversa, il materiale sonoro dev’essere meditato e strutturato secondo lo
stesso metodo con cui si medita e si struttura il materiale scenico.
Con questa reciprocità di corrispondenze e di dialogo (fra il materiale scenico e il suono) Schönberg voleva ottenere che tutti gli elementi -scenici e musicali- si rispondessero in correlazione, raggiungessero una affinità di forma, di contenuto e di intenti col trasformare tutto lo spazio scenico in una azione in concordanza con l’azione di un suono, e che questa fosse in congruenza con l’azione del materiale scenico.
Far musica con i mezzi della scena… vuol dire anche che la musica deve tener conto persino della «mímica facciale, che è un mezzo scenico».
La musica deve congegnarsi a dialogare con la mímica facciale, e tanto più con il loro «coro di sguardi» (messo in atto, ne La mano felice, da 6 volti di donne e 6 di uomini, come «dodici chiazze chiare su uno sfondo
nero»):
Ciò che questi sguardi esprimono si traduce qui nelle parole cantate dal coro e nei colori che appaiono sui volti. Il genere musicale in base al quale è stata composta quest’idea testimonia l’unitarietà della concezione: nonostante la complessa caratterizzazione di alcune voci principali, tutta la frase introduttiva è, per così dire, «immobilizzata» da un accordo di tipo ostinato, proprio come gli sguardi, fissi e immobili, restano rivolti all’Uomo.
L’ostinato della musica mette in evidenza che questi sguardi costituiscono, a loro volta, un ostinato.
E in questa correlazione fra materiale scenico e suono anche
il gioco della luce e dei colori non è costruito… soltanto sulle intensità, bensì su valori che si possono paragonare semplicemente con le altezze dei suoni. Anche i suoni si collegano tra loro con facilità, se esiste una reciproca relazione di fondo; lo stesso dicasi delle gradazioni di colore, che si collegano solo attraverso la loro relazione di fondo.
La luce e il colore, concepiti in relazione all’altezza dei suoni, divengono azione indispensabile a dare spazio energetico e movimento sia all’interno di se stessi sia all’esterno di sé, cioè sino a espandersi sulla scena tanto da farsi percepire come entrati all’interno dei suoni, contribuendo così a costruire un multispazio scenico, in cui la contaminazione fra elementi scenici-sonori-luminosi-cromatici-mímici va a strutturarsi in una forma dialettica, divenuta pertanto movimento, poiché
Henri Lefebvre, Il materialismo dialettico. Torino, Einaudi 1975, p.77la dialettica, movimento di pensiero, è vera soltanto in un pensiero in movimento.
Se ne deduce che tutti i materiali scenici si muovono nello spazio scenico come singole opere d’arte (sia pure in cooperazione). Pertanto… va da sé che come singole opere d’arte ogni materiale scenico deve contrapporre allo spazio scenico la propria entità dotata di esistenza autonoma.
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