Saggio sopra l'espressionismo

4. architettura espressionista: forme

Così come un’opera pittorica debba, secondo Klee,

Paul Klee, Confessione creatrice e altri scritti. Abscondita, Milano 2004, p.1

consistere di meri elementi: devono produrre forme, senza tuttavia immolarvisi, anzi conservando se stessi,

Funzionale e organico in dialogo

così l’architettura deve produrre spazi al servizio della funzionalità anche quando non intenda rinunciare all’evocazione di forme ispirate alle forze e alle strutture organiche della natura. Per questo gli architetti portatori del linguaggio espressionista non si sono limitati a un genere architettonico che si localizzasse in un modello classicista, incapace di muoversi tra elementi costruttivi tecnologici investiti da funzionalità e organicità strutturale.

Architettura razionalizzata (Häring), utopica (Taut), funzionale e organica (Poelzig, Mendelsohn) creano spazi ricettivi

Sia che l’architettura si faccia minimale, razionalizzata al massimo della funzionalità (Häring); sia che si contrapponga a un exemplum razionalizzato, onde esprimersi in toni visionari di utopica evasione, con spazi -interni ed esterni- al servizio di un ideale estetico che fosse anche etico e sociale (Bruno Taut); sia che cerchi di centralizzare il giusto equilibrio tra una struttura espressamente funzionale e formale che derivi dalla sintesi di un processo organico suggerito dal linguaggio naturale (Poelzig, Mendelsohn), l’architettura espressionista mira sempre a ottenere spazi e forme ricettivi.

Fantasia antidoto all’asfissía cubica

Il richiamo all’organico e alla fantasia visionaria è per sottrarsi all’asfissía cubica. Infatti Hermann Finsterlin, ad esempio, si oppone ideologicamente all’architettura monumentale e cubica imposta dal Terzo Reich, con l’immaginare e progettare delle case che seguissero una partitura fantasiosa quale premessa -come egli stesso asserisce- a

Hermann Finsterlin in Franco Borsi, Giovanni Koenig, L’architettura dell’Espressionismo, Vitali e Ghianda. Genova 1967, p.10

creazioni pazze tanto all’esterno tanto all’interno che però perseguissero sempre l’equilibrio statico, malgrado l’estrema dinamica.

L’affermazione di Rudolf Steiner «trarre fuori dal colore ciò che il colore stesso esige», utilizzata in una delle sue conferenze tenutasi a Dornach nel 1921, potrebbe valere anche per l’architettura espressionista se la rifondassimo nei seguenti termini:

Trarre fuori dall’architettura ciò che l’architettura stessa esige

trarre fuori dall’architettura ciò che l’architettura stessa esige, cioè concepire la forma architettonica tramite ciò che la forma architettonica vuole essere (al servizio di sé e della collettività), a partire dalle sue intrinseche potenzialità.

Se pensiamo all’uso del cemento (si veda il secondo Goetheanum 1924 di Steiner) constatiamo che anche per il cemento è valsa la regola

Trarre fuori dal cemento ciò che il cemento stesso esige

trarre fuori dal cemento ciò che il cemento stesso esige.

Infatti il cemento esige che lo si tratti come una massa plastica da modellare attraverso accorgimenti tecnici tipici della formatura in scultura.

Il cemento e i casseri di contenimento per l’emancipazione del-
la propria forma

Il calcestruzzo viene gettato in casseri di contenimento, così come il gesso, in scultura, viene gettato in un calco (negativo) per ottenere la forma dell’intero modellato (positivo). Con l’ausilio dei casseri di contenimento si possono ottenere svariate forme, anche quella che permetta all’architettura di infiltrarsi nella libera emotività, di contrapporsi alla morale del costruirsi dai canoni, di tendere all’attività pratica di un processo sensibile all’emancipazione della propria forma.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
sopralespressionismo

GRATIS
VISUALIZZA