Lo spazio architettonico (come accade, ad esempio, nel Padiglione di vetro all’esposizione di Colonia -Werkbund, 1914, di Bruno Taut) familiarizza con
l’iridescenza del vetro colorato e con una rilevante forma vetrigna scritturale, tramite cui l’inevitabile rapporto fra colore-spazio-luminosità fende la forma architettonica con trasparenze che riflettono e rifrangono un vero e proprio alfabeto cromatico, in totale contraddizione con la massa muraria chiusa dell’architettura ottocentesca.
Dalla fioritura dei vetri colorati che filtrano la luce, dai suoi effetti damascati, dai suoi tessuti a trama cangiante, dalla sua conversazione libera con lo spazio nasce un’atmosfera orientale che restituisce l’architettura ai
fondamenti di un goticismo ispirato alla legge cosmica.
La luce colorata, filtrata dai vetri colorati, essendo libera di ordire -a seconda della gradualità della luce- intrecci cromatici cangianti, può con queste sue azioni sviluppare un’ornamentazione assolutamente indipendente da ogni stile già acquisito.
A partire da questi requisiti «è augurabile infatti che gli elementi ornamentali dell’Oriente, siano essi tappeti o maioliche, vengano talmente rielaborati che per l’architettura di vetro non si possa parlare di imitazioni».
Certo è che il vetro non ci orienta esclusivamente verso uno spazio concentrato su se stesso (luce colorata e spazio architettonico devono concepirsi e accordarsi reciprocamente), ma ci accomoda in uno spazio che ci assegna a una visione dedalica e labirintica; non si sviluppa su un’impronta geometrica solida e stabile, ma sull’inconsistenza volubile di una scansione asimmetrica tra il dentro e il fuori.
La trasparenza del vetro costringerebbe lo spazio architettonico a essere contemporaneamente -dialogicamente- dentro e fuori.
Il vetro colorato, filtrando la luce, modifica lo spazio architettonico in un effetto cromatico di cui non sapremmo dire se sia stato provocato dal fuori o dal dentro, poiché lo spazio non si rivela più in una gabbia geometricamente piena e solida, ma in uno spazio che si rivolge al fruitore con effetti di luminosità vibrante incostanti e in continua trasformazione, che non paiono derivare né da fuori né da dentro.
E poiché da uno spazio architettonico si perviene a uno spazio luminosamente pittorico, allora va detto che
Rudolf Steiner, L’essenza dei colori… p.167nella pittura non ha nessun senso il dire che qualcosa è dentro o fuori, o che l’anima è dentro e fuori. L’anima è continuamente nello spirituale quando essa vive nel colore.
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