Lo spazio interno, immerso in un’atmosfera semplificata dall’aderenza a effetti cromatici ottenuti per mezzo di pareti di vetro colorato, che rammorbidiscano il dardeggiare della luce solare, è favorevole (per contrasto) a immergerci nel raccoglimento.
Con il filtraggio dei vetri colorati si entra in un sistema luminoso fatto di segni cromatici che abbattono la chiusura dello spaziocentrismo col pluralismo additivo e sottrattivo dei colori, pur restando in uno spazio chiuso.
In questo caso il vetro è destinato a far «luce variopinta», modificando la luminosità dello spazio in un arabesco ornamentale.
Ci si rifà all’Oriente: la luce filtrata dal colore si congiunge con la sinuosità trascendente dei tratti cromatici sempre in movimento vibratile. Tanti
colori propagati nello spazio prismaticamente, generano una texture di luminosità sfuggenti, tramite cui si determinano colori luminosi a causa dell’addensamento e colori poco luminosi a causa del loro diradamento. Ciò rimanda all’arabesco a intreccio, capace di scomporre e deformare persino l’icona chiusa ed introversa della gabbia cubica dello spazio interno.
La arabescatura cromatica assurge a una progettualità sì mistica ma profondamente laica. L’elemento figurativo ha sempre riconosciuto in qualità di soggetto mistico il Dio umanizzato e l’uomo deificato.
Ma poiché «noi non impersoniamo più i nostri dèi in immagini di uomini o di animali», quale mezzo migliore della arabescatura per eliminare totalmente l’elemento figurativo entro cui si celava l’icona deificata?
L’architettura non deve più fondarsi su un ordine divino che la tenga fuori dal simbiotico rapporto tra individuo e società (tra il dentro e il fuori).
Per mezzo della nuova architettura l’uomo ritorni a ri-creare se stesso sopprimendo la dittatura dell’Io deificato.
Una società moderna ha bisogno di un’architettura interessata ai comuni rapporti sociali e alla universalità collettivizzata contro il mero soggettivismo, piuttosto che rifarsi all’arroganza soggettivistica di una monumentalità fine a se stessa.
Luce e spazio non devono più circolare sotto la corazza dei muri, ma dentro un luogo architettonico aperto, intessuto di slittamenti cromatici.
In luogo di una fisicità spaziale deve innestarsi una circolarità di effetti chiaroscurali che si ravvivino al contatto con un ambiente divenuto misterico.
L’idea della Glasarchitektur si traduce nella fuga dal dolore, dalle stratificazioni secolari della tradizione, dalla forma chiusa tra parentesi, dalla struttura a figurazione generale parcellare.
Tra spazio architettonico e luminosità cromatica dev’esserci una relazione conseguente e finalizzata alla funzionalità: dev’essere insomma un espediente sociale per consentire all’individuo di vivere in armonia con l’ambiente in cui vive, ed espletare una funzione altrettanto sociale.
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