Nell’Espressionismo siamo all’Io disfatto, ostile a se stesso perché rinnega il suo narcisismo. Quando Gottfried Benn ci ricostruisce Rönne attraverso
la propria autobiografia, non ci rivela
un vissuto che appartiene alla sola visione interiore di un biografo di se stesso, che si osserva dandoci informazioni riguardanti la visione interiore e indeterminata del proprio Io, ma
l’attività esistenziale di un corpo impegnato a guardarsi intorno, a saltare da una prospettiva all’altra del vissuto, scendendo nell’animalità di una società ombrosa, sospesa nei suoi momenti più confusi e dolorosi:
Gottfried Benn, Doppia vita… p.13In pace e in guerra, al fronte e nelle retrovie, come ufficiale e come medico, fra parvenus ed eccellenze, davanti alle celle dei manicomi e a quelle delle prigioni, accanto ai letti e alle bare, nel momento del trionfo e nell’ora della disfatta, mai mi abbandonò la sensazione –
in una specie di trance- che questa realtà non esistesse.
L’Espressionismo -attraverso Benn- vede l’esistenza (nuda, assorbita nel suo intollerabile spreco) non con lo sguardo di chi vi trovi niente, come un occhio decapitato, ma con lo sguardo di chi tenta analiticamente di assicurarsi che ciò che vede appartenga alla tridimensionalità del vissuto. E lo fa scavando profondamente, impiegando tutto di se stesso, tutto il corpo (lasciandolo finanche emergere dall’abisso di se stesso):
Gottfried Benn, Doppia vita… p.13Misi in moto una sorta di concentrazione interna, un’eccitazione di sfere segrete: l’individuale sprofondò ed emerse uno strato primordiale, inebriato, ricco di immagini, panico.
L’Espressionismo è così l’osservatore che guarda anche là dove nessuno guarda, una lente ventosa che s’attacca su ogni cosa (guerra, celle, manicomi, prigioni…) per guardarvi dentro, affondando uno sguardo particolarizzante, anatomizzante. Uno sguardo che va a fondo per vedere come vive realmente l’uomo.
E Benn osserverà con lo sguardo implacabile dell’anatomista: nel vedere vi affonda gli occhi come bisturi, toccando anche il fondo per non rischiare l’autoinganno.
E, per dirla con lo stesso Benn «si va a fondo, quando si giunge sempre ai fondamenti».
Per Gottfried Benn «il nudo vuoto dei dati di fatto» va osservato con l’analisi, infilando gli occhi nel proprio cervello, perché si possa alla luce dei fatti, anatomizzandolo, svelarlo con obiettività.
Gottfried Benn, Doppia vita… p.13Periodicamente rafforzato, l’anno 1915-16 a Bruxelles fu enorme, nacque Rönne, il medico, il flagellante delle cose singole, il nudo vuoto dei dati di fatto, che non poteva sopportare realtà alcuna, ma neppure poteva più afferrarne una, che conosceva soltanto il ritmico aprirsi e chiudersi dell’io e della personalità, la costante discontinuità dell’essere interiore, e che -posto di fronte all’esperienza della profonda, illimitata estraneità, antica come il mito, fra uomo e mondo- credeva assolutamente al mito e alle sue immagini.
L’uomo e il mondo investigati: la visione si allarga su di essi per vedervi anche quello che non si vede. L’Espressionismo ci permette di assistere a ciò che accade dietro la pelle dell’uomo: il corpo viene spellato perché ci si possa spingere oltre la superficie che divide l’interno dall’esterno.
Nell’anatomizzazione avviene l’erranza, è come camminare tra le macerie di un corpo, ed è come venire a contatto con tutto ciò che quelle macerie di corpo hanno vissuto.
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