L’architettura espressionista del Großes Schauspielhaus di Hans Poelzig -Berlino 1919-, si orienta verso un modellato che si rifà alle forme organiche: al suo interno lo spazio è aggredito da un insieme di forme ispirate alle stalagmiti.
Anche in questo caso l’architettura espressionista non condiziona le proprie forme e la propria spazialità alla limitazione di se stessa, ma víola se stessa per il superamento di sé, trasmoda da se stessa, trasgredendosi, per provvedere a un processo di libera imprevidenza, simile al processo organico della natura.
L’architettura non è più concepita secondo i dogmi. In essa affiora l’oggettivazione di una progettualità pensata in rapporto a un fare liberato, che conduce il proprio sforzo di creare verso una struttura libera di aprirsi a forme libere, a seconda dei casi.
Si tenga presente che l’architettura espressionista sia quando si pone in netta rottura con la tradizione (anche quando faccia ricorso, come nella fabbrica AEG di P. Behrens, a strutture che ricordano il timpano del tempio classico); sia quando crea spazi semplificativi (per una funzionalità logica e immediata); sia quando si dà a evidenziare una sequenza di dettagli plastici, organizzati per risaltare un’espressività organica (con movimenti plastici eclettici, concavità e sporti, perimetralità deformate); sia quando si fonda su un’articolazione di moduli seriali (Le Corbusier) che immettono gli spazi in luoghi svotati di visionarietà espressionistica e di articolazioni cubiche), cerca comunque e sempre -progettualmente- di non perdere di vista né la funzionalità a cui deve rispondere, né il legame con la continuità di un assetto urbanistico, né la rispondenza fra singolo e collettività.
Siamo a una architettura al servizio dell’uomo, ovvero a una architettura al servizio dei bisogni dell’uomo e del suo ambiente naturale. Si perviene, tramite l’architettura espressionista, alla formulazione di un’architettura sociale senza perdere il suo intrinseco tessuto liberatorio caratterizzato dalla forma liberata, incentrata anche sull’evoluzione del tessuto spirituale dell’uomo, mutuata dalla precisa e inderogabile esigenza di risolvere l’architettura con il connubio fra spazio concretamente costruito su fondamenti ergonomici (cioè sviluppata non indipendentemente dalle esigenze del corpo umano) e funzionalità non lasciata a se stessa, ma elaborata anche secondo fondamenti estetici atti a mettere a proprio agio persino la percezione psicologica dello spazio, della forma, dei colori.
Insomma, così come «nei colori tutto è vivente», poiché «i colori sono un mondo» e ci stimolano la percezione visiva come esseri viventi («il rosso è qualcosa che ci assale… Si vorrebbe scappar via dal rosso, esso ci respinge. L’azzurro-violetto invece lo si vorrebbe inseguire, esso scappa sempre via, diventa sempre più e più profondo»), così pure «la buona architettura -secondo Gropius- dovrebbe essere proiezione della vita stessa, e ciò implica una conoscenza intima dei problemi biologici, sociali, tecnici e artistici».
Con tutto ciò si mira a soddisfare l’anima umana, poiché
Walter Gropius, Architettura integrata. Garzanti, Milano 1978, pp.170, 20la soddisfazione dell’anima umana è importante quanto il benessere materiale, e il raggiungimento di una nuova visione spaziale è più significativo dell’economia strutturale e della perfezione funzionale.
Inoltre l’architettura in cemento sposa bene il concetto di «organico», secondo l’accezione di Steiner:
– concordanza fra contenuto e forma (la forma deve esprimersi in corrispondenza col contenuto correlativo all’idea);
– la forma architettonica inerente alla sua funzionalità;
– congruenza fra forma-contenuto-perizia tecnologica.
L’uso del cemento armato (si veda, di Rudolf Steiner, il Goetheanum di Dornach, Basilea 1924) concorre a determinare una forma architettonica intesa a muoversi (ora verticalmente, ora orizzontalmente) in qualcosa di più di una mera forma architettonica.
Il modellato porta la forma architettonica a estendersi al di fuori di se stessa, con essa vengono meno l’edificio di facciata e il muro elevato al peso della sua impenetrabilità; il muro ottocentesco, plumbeo e opprimente, è rotto dall’azione di un modellato pittoresco che persegue la diversità chiaroscurale di una tensione paesaggistica, e non il proseguimento e la conservazione dell’unità convenzionale del muro a piombo.
Il muro è formato nell’atto di formarsi; la sua forma-informe (non più accomodata, unilateralmente, dalla geometria euclidèa) continua a muoversi nell’impulso di formarsi.
Decomposizione della forma cubica, movimento decelerato e accelerato tra forme in urto, curvilinee, angolari, introflesse-estroflesse: la pressione dinamica viene dal loro interno, le loro anomalie sono portentose, siamo alla distruzione degli imperativi canonici.
Nella ricettività spaziale, la forma architettonica si muove e prolifica come influenzata dall’energia interiore dell’ambiente. La vediamo agire come suggestionata dall’obbedienza a una energia che si compie in uno stato di automatismo inconscio.
È un’architettura in cui si avverte ciò che proviene dal bisogno di avvicinarsi al complesso proliferare delle strutture organiche: angoli troncati o iperangolosi, masse plastiche elissoidali e prismatiche tra accrescimento e dilatazione di una linearità modulata da scontorcimenti e spasimi.
Il modellato architettonico pare precisare su di sé l’attività naturale della naturalità operosa della natura.
Dentro la pittura espressionista (anche quando non sono del tutto espliciti) troviamo pigmenti cromatici le cui tonalità confluiscono in un senso religioso e mistico.
La scompostezza dell’ordine compositivo, nonché degli accostamenti cromatici, per la loro turbolenta e conturbata introspezione ci rimandano alle esagitate e convulse visioni mistiche.
Persino il poeta non scongiura la visione mistica. Come nel caso di Trakl, egli è «sognatore imbevuto d’incancellabili immagini religiose» (come ebbe a sintetizzare Ladislao Mittner), un «tragico sociale» e un «vago mistico della compassione sociale».
Anche l’architettura espressionista evoca, per mezzo dell’unione del concavo e del convesso, una tendenza fin troppo esplicita al misticismo e, ad esempio nel caso di Steiner, all’esoterismo. Il simultaneo fluire di elementi formali geometrici e di forme enigmaticamente organiche, accade in una unione motivata per lo più da concetti esoterici, come nel primo Goetheanum di Steiner. Tali prerogative non escludono dall’architettura una certa caccia alla forma che, nel confluire nello spazio, non susciti un’emozione mistica, spaesante.
Pareti drammatizzate parabolicamente da deformazioni che si contrastano, da spazi architettonici intesi come negazione del vuoto ci rimandano, pertinentemente, alla «metafora del forame» che, proprio come nelle visioni estatiche di Maria Maddalena de’ Pazzi,
Maria Maddalena de’ Pazzi, Le parole dell’estasi... p.43…rappresenta un’entità che si caratterizza per essere un vuoto; da questo vuoto deriva il pieno di una sostanza liquida che ne fuoriesce e inonda, espresso dalla metafora del fluido. L’idea del vuoto domina totalmente nella rappresentazione della caverna: le piaghe di Cristo, caverne, sono dette anche mammelle per via dello stillamento che ne deriva; ma a correggere l’idea del pieno, sono dette «un fondo»; casi vengono opposti non un pieno e un vuoto, ma due forme opposte del vuoto, il concavo e il convesso: «caverne, anzi ubere, fatte a noi in fondo, anzi senza fondo» (C 314.II 346), dove la contraddizione finale annulla, dopo aver negato il pieno, anche l’idea di «finitezza» legata ai concetti di concavo e convesso.
Il tema delle caverne, ricorrente nell’architettura espressionista, è stato trattato in modo inequivocabile da Hans Poelzig (si veda l’interno del Großes Schauspielhaus di Berlino).
Il vuoto della caverna, in questo caso, è deflorato da un prepotente getto a cascata di stalagmiti.
V’è divergenza deformante (ma anche compenetrazione) fra vuoto e pieno; il vuoto della caverna è così spazializzato dal pieno (concavo e convesso, uniti insieme per eliminare il concetto di finitezza).
L’elasticità, l’estroflessione, la tensione aggettante e disformante tra forma e spazio, in contrasto alla gravità, fanno dell’architettura espressionista un antigeometrismo dominato dall’inesausta metamorfosi di una forza organica, che dà spinta alla crescita di volumi che più non si trattengono nella propria forma.
Il passaggio stesso dai muri ai volumi (ovvero ai muri elevati alla dignità prometeica di volumi plastici) segna la fine dell’architettura cubica: quando un edificio architettonico si esprime non più per mezzo della fissità dei muri, ma per mezzo della vertiginosa instabilità e volubilità di volumi che pròsperano nella dilatazione e nello sgorgo di vari movimenti plastici, allora non ci troviamo all’interno di un guscio immobile, ma in fluttuazione.
La libera fluttuazione dei volumi plastici prende le distanze dall’esaltazione della fissità cubica, esprimendosi nella condizione della mutevolezza di un organismo.
Viene così a perdersi la struttura architettonica monumentale: tra traslazioni, rotazioni e deformazioni sul campo spaziale, la forma architettonica crea e si ricrea per interagire coi volumi plastici in correlazione metamorfica, dissociandosi dalla geometria statica.
L’architettura espressionista mira a determinare un effetto di continuità e interazione fra spazio e forma; ad alterare l’ortogonalità della gabbia stereometrica; a dare l’impressione di spostamenti organici in crescita.
August Schmarsow, Grundbegriffe Der Kunstwissenschaft (cap. XVI), in Wilhelm Worringer, Astrazione ed empatia, Einaudi, Torino 1975, pp.99-100Ogni variante della struttura rigidamente geometrica, ogni accostamento alle forme del mondo vegetale o animale, mitigano e indeboliscono la spietata chiarezza della tettonica monumentale, e trasferiscono nelle condizioni della crescita e della vita, cioè nella temporalità, l’unico elemento che conti. La rappresentazione di entità organiche sembra porsi in insanabile contrasto con questa perpetuazione astratta dell’esistenza in un corpo cristallino. La forma stessa di un prodotto organico proclama di per sé la molteplicità delle proprie correlazioni e svela in ogni sua parte la condizionalità del crescere e dello sfiorire. La mobilità degli organismi respinge ogni possibilità di concepirli come forme fisse. Com’è lontano l’individuo vivente dalla compattezza chiusa e assoluta del corpo regolare! E ciononostante si tenta di separare i valori dell’esistenza da quelli della vita, e di eternare quell’elemento del prodotto organico che si può riprodurre come componente permanente in un materiale rigido.
Tradurre il vivo nell’inorganicoL’adattamento forzato in forme cubiche è la prima regola di questa aspirazione verso il monumentale, quando si sia divenuti coscienti che non si tratta di imitare la realtà, di rappresentare esseri viventi nei loro movimenti e nelle loro attività, nei loro rapporti con la natura nella quale sono posti, -ma al contrario di astrarre il costante, di tradurre il vivo nell’immobile, rigido, freddo e impenetrabile, di ricrearlo in un’altra natura, in una natura inorganica.
Di qui l’affermazione che l’architettura espressionista ha poco a che fare con una gestualità mossa da un alto grado di visionarietà.
Il plasticismo dell’architettura espressionista se sembra infatti agire sotto la spinta di un’energia è perché, organicamente, in natura è sempre
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma. Bollati Boringhieri, Torino 1969, p.15l’energia che in una delle sue varie forme, conosciute o sconosciute, agisce sulla materia.
La forma architettonica espressionista è mossa sia dall’interno sia dall’esterno, quindi crea dei movimenti, e non è mai a riposo. In essa, la massa plastica si deforma come fosse sotto «l’effetto dell’azione di una forza», poiché essendo architettura organica, agisce per se stessa come fosse materia viva, infatti
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… p.15la forza di ogni porzione di materia, sia essa viva o morta, e i cambiamenti di forma che appaiono nei suoi moti e nella sua crescita, possono sempre venir descritti come l’effetto dell’azione di una forza.
Riguardo all’architettura di Mendelsohn, di Steiner, di Finsterlin, di Luckhardt, ecc., possiamo senz’altro affermare che la sua organicità consiste anche nel fare agire i volumi plastici alla maniera di una qualsivoglia materia viva che subisca deformazioni a causa dell’azione di gravità.
Calotte semisferiche (come quelle concepite da Mendelsohn per il modello del Palazzo dei Soviet di Mosca, e per l’Einsteinturm di Potsdam) e pareti concave e convesse non si rifanno mai al perfetto equilibrio simmetrico di una sfera o di un piano:
Non la simmetria della sfera o del piano: nulla come prima
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… p.75solo il piano e la sfera, o qualsiasi porzione di sfera, sono figure perfettamente stabili perché perfettamente simmetriche…; la loro simmetria è tale che al minimo disturbo di essa corrisponde un aggiustamento affinché la superficie piana o sferica rimanga quella di prima.
Tra le superfici piane, concave e convesse dell’architettura espressionista, nulla rimane come prima. Se si tratta di una facciata: questa è sempre o deformata, o attaccata da elementi aggettanti e rientranti che la spingono ora in fuori ora in dentro.
Le superfici si muovono sempre come attraverso l’azione di gravità. In questo senso, la massa plastica dell’architettura espressionista è organica proprio perché è stata fatta agire persino come una goccia di pioggia o una bolla di sapone, poiché
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… pp.91-92né una goccia di pioggia né lo stesso nostro pianeta mantengono la loro primitiva sfericità (…), persino una bolla di sapone viene appiattita o allungata per azione della gravità, secondo che sia trattenuta in basso o in alto.
È un’architettura che si porta alla deformazione, poiché mira a ottenere un effetto di interazione tra sé e lo stato di gravità, tra sé e qualsiasi altra materia organica, i cui cambiamenti
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… p.75sono tali che un disturbo in un determinato punto aumenta progressivamente in una direzione o in un’altra.
Nell’architettura espressionista, ogni forma plastica si muove secondo natura, cioè sia come sotto l’effetto interattivo con un’altra energia esterna (comportandosi come «una goccia elettricamente carica in un campo di forze elettrostatiche: la goccia si estende nella direzione delle linee di forza»), sia come sotto l’effetto di una «forma che si accresca senza alcuna costrizione esterna», come accade nelle «cellule cilindriche, per esempio di Spirogyra», la cui forma assunta -nel crescere-
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… p.93, 95è dovuta alla costituzione molecolare della parete cellulare: questa costituzione è anisotropa in modo tale da rendere la sua espansione più facile in una direzione che nell’altra.
Dunque, è forse per caso che forme introflesse ed estroflesse, nell’architettura espressionista, si espandano nello spazio sempre secondo un movimento direzionato, come accade nella costituzione molecolare (anisotropa) delle pareti cellulari?
L’architettura espressionista cerca l’effetto organico: l’estroflessione dovuta a una forza interna; l’introflessione dovuta a una forza esterna: spesso queste si alternano in un ritmo sincopato, dando origine a una forma che pare trasmutare da uno stato a un altro, o seguire direzioni opposte l’una all’altra.
Tutto questo accade tramite un movimento plastico che vive in assenza di omogeneità o di isotropia, perché vuole essere inerente persino alla disomogeneità evidenziata nelle pareti delle cellule vegetali:
D’Arcy Wentworth Thompson, Crescita e forma… p.95questa assenza di omogeneità o di isotropia della parete cellulare è spesso messa in evidenza nelle pareti delle cellule vegetali dalla struttura a lamelle concentriche, a striature anulari o spirali o simili.
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