La natura è la nostra casa, dice l’Espressionismo. La natura è naturale all’uomo, quindi perché essere estranei all’interdipendenza tra uomo e natura, perché consegnare la natura in mano all’artificiosità dell’uomo? La vita è, per l’Espressionismo, tutta da attingere alla potenzialità della natura.
Eccoci così a una spiritualità romantica lasciata liberamente vivere nella viva materia della natura, per consentire che l’uomo si rispecchi in essa.
Ma… che effetto potrebbe fare all’Espressionismo un paesaggio (o naturale, o urbanistico) deturpato dall’uomo? L’effetto di un trauma patito sia a livello corporeo sia a livello psichico. Perciò condurrebbe la forma estetica della sua arte a sentire quella dolorosa esperienza di vita, e sarebbe inoltre portato a non sopportare più l’immagine convenzionale della vita. Si chiederebbe (prescrivendo a se stesso uno sguardo critico sulla vita):
… la vita? non è sempre stata così, forse, non è sempre stata rappresentata e vista, nel suo apparire, in maniera così abissalmente diversa da come viene percepita nella sostanza? Queste lenticchie d’acqua sullo stagno, che noi chiamiamo fede, amore, speranza e conquiste del progresso, Stato e storia, e, sotto, il nulla assoluto?
Per l’Espressionismo, il deterioramento della sua forma estetica e della sua materia cromatica diviene pertanto allusivo: è ciò che prende forma (oltre che dalla discesa nell’inconscio) dalla strada e dalla tangibilità tattile della sua temporalità; è l’usura delle cose che sono e che vivono nella pluralità dell’esistente; è l’uomo definito dalla propria autodistruzione; è la vuotità di un’intera vita, che si arricchisce di una forma bucata da un vuoto bucato. La sua arte diviene così un giudizio morale. Vive nella necessità di contraddire ciò che è da contraddire. Osserva il mondo da una visione etica. Rifiuta l’idea di osservare il mondo standosene zitto. E dunque… urla.
Urlando… l’Espressionismo nega la fede nell’Io. Si annuncia nell’angoscia della perdita del sé, dandosi alle escavazioni esistenziali, all’imperativo della temporalità che si rapporta alla natura gravitazionale della terra.
Fuori dall’appropriazione dell’individualismo, l’Espressionismo ha assunto su di sé la sofferenza caleidoscopica dell’individuo e della specie umana.
Di conseguenza la parola lirica espressionista (così pure l’arte) diviene strumento di analisi del sociale, critica al sistema vigente e alla sua contemporaneità storica. Calandosi nell’ambiente sociale in cui il poeta vive, essa assume su di sé tutti i suoi caratteri psicosomatici. Il suo diritto alla vita… si risolve nel diritto a risvegliarsi dal pietismo catatonico di una liricità sottomessa alla malinconia dell’Io e alle sue puerilità estetiche, con l’urlo di una violenza insperabile. Se essa si dà a disvelare l’esistenza di un esistente tragico, commisurato a una forma sociale svuotata di significato, è perché accetta per sé, per la propria ragion d’essere, l’inderogabile necessità etica di riconoscere che
in un mondo pieno di gemiti e di strida, pubblicare storielle e considerazioni di poco conto, occuparsi di problemi secondari (quando ve ne sono tanti di principali), indignarsi per avvenimenti di scarsa portata, può apparire senza dubbio come un segno di debolezza…
L’Espressionismo è, sia in arte che in letteratura, sempre un urlo da urlare a pieni polmoni anche quando si fonde, indissolubilmente, a un linguaggio rettificato dalla realtà burocratizzata dall’esistente. Il gioco linguistico svuotato di significato, il linguaggio che crolla sulla caratterizzazione del frammentario, traforato da un cromatismo verbale burlesco, messo in atto da Christian Morgenstern nella sua raccolta di poesie Galgenlieder -Canti della forca-, edita nel 1905, è un linguaggio che parla da un individuo che impersona l’impersonalità gretta e misoneista del borghese.
Ne L’autorità, il linguaggio poetico diviene l’allegorizzazione del burocrate e del suo linguaggio “burocratese”: il senso della poesia sta tutto nel ridicolizzare il tipico linguaggio burocratico, di fronte al quale ci si trova sempre alle prese con una comunicazione che, pedantescamente, si dà a logicizzare l’illogico con una struttura discorsiva che finisce per illogicizzare il logico:
Christian Morgenstern, Canti grotteschi. Einaudi, Torino 1966, p.76L’AUTORITÀ
Un oltremodo modulo complesso
di sino ai denti armato questionario
deve Korf riempire al Commissario
di Polizia, fittissimo; ed in essodeve indicare: 1. a quale egli appartenga
ceto; 2. da quale luogo egli provenga;3. della nascita il luogo il giorno l’anno;
4. le competenti autorità che gli hannofacoltà di risieder qui concessa;
5. risorse pecuniarie ch’ei confessa;
6. religioso Credo ch’ei professa.Chi non è a tali norme ottemperante,
lo schiaffano in guardina sull’istante.Sotto, Firmato: Pròspero Pappònica.
Di Korf ecco la réplica lacònica:
«In seguito a un’indagine espletata,
la persona, qui sotto incasellata,a codesta Sezion Molto Onorifica,
in veste si presenta ed in qualificadi priva esente immune e alfin sprovvista
d’esistenza, nel senso di chi esistadebitamente ai sensi usati civici
della pratica acclusa, evasa ai margini.Il Sopra – e Sottoscritto (conciossìacosaché, ignaro di burocrazia,
deplorerebbe intenzionale un trucco)
Korf (All’Ufficio X di Polizia)».
Leggendo ciò, il Questor restò di stucco.
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