Saggio sopra l'espressionismo

la violenza della parola

Poesia: linguaggio destrutturato e frazionato

Così è pure la poesia espressionista: la struttura si spezza, non ristabilisce nessun legame con la rettilineità discorsiva; le parole son destinate a perdere il discorso intriso di linguaggio umano ordinario, ti trasportano in un linguaggio frazionato e nervosamente fratto, proporzionale al livello linguistico di chi ha subíto un elettroshock causato dallo stile di un mondo che ci proietta in un futuro giunto alla sua fine:

Gottfried Benn, Doppia vita. Autobiografia. Sugar, Milano 1967, p.131

Sarà lo stile dei robot, arte di montaggio. L’uomo d’oggi è giunto alla sua fine. Biologia, sociologia, famiglia, teologia, tutto è decaduto, tutto è sbiancato e porta protesi.

La parola poetica insomma non vede il mondo sotto un aspetto miracoloso, non ci descrive più stati d’animo idilliaci, ma visioni che si svuotano del Bello (per riempirsi di immagini astruse)… a contatto con un mondo che si svuota.

Parole come segmenti

Siamo, nel parlato poetico espressionista, a un’azione (più che delineazione di un oggetto parlato) di parole come segmenti i cui specifici dettagli non ci parlano più attraverso simbologie ma per mezzo di una fitta combinazione di microtesti caratterizzati in forma di segnali tattili e materici: schegge di immagini che si imbattono nella lunghezza (o brevità) del verso come per caso, che operano nel contesto lirico più come immagini visive che verbali; la parola infatti mostra (più che dire) la cosa, ma la mostra così per come essa cosa si palesa e si rivela al poeta, per ciò che esibisce ed espone. L’immagine poetica espressionista è carica e feroce, è fortemente rabbiosa, è zeppa di materia visivamente compressa in pura energia eversiva tanto quanto basta a esploderci in faccia.

La violenza della parola contro la storia

Se la parola rimane gravemente colpita dalla storia, non può -per contraddirla- che essere violenta. Se la parola vive nella contemporaneità, se è trascinata dalla contemporaneità nella propria storia, essa non può che incorporare un linguaggio carico di vissuto che si interponga, criticamente e con violenza verbale, contro il dato di fatto.

Unica regola del linguaggio: contraddire le proprie regole

Il linguaggio lirico espressionista non proviene dunque da un linguaggio classicheggiante, dotato di regole stabilite una volta per tutte, ma da un linguaggio che esiste nella temporalità storica, totalmente dipendente da immagini che si spezzano in essa, e quindi da un linguaggio che ha come regola la contraddizione delle stesse: linguaggio muscolosamente suffragato dalla violenza che la storia esercita su se stessa. Afferma Gottfried Benn:

Gottfried Benn, Doppia vita… p.60

In forma concisa e moderna si può dire che la storia non progredisce in base a principi democratici; essa avanza per mezzo della violenza.

La lirica espressionista mette da parte il soggetto e lo ridicolizza

L’Espressionismo lirico non assegna al soggetto una parte centrale, il soggetto è drammaticamente e grottescamente configurato come condizione temporale ed effimera del linguaggio: scarica in esso, come unica identità, il cadúco, ovvero l’aspetto disformato del logorío metropolitano ed esistenziale che inciampa nelle sue stesse fondamenta.

Il processo al linguaggio borghese

Il saldo linguaggio borghese viene messo al bando, e ridicolizzato ricorrendo al Grottesco. Al centro del linguaggio non v’è più l’impulso di porvi l’Io e le sue patetiche sceneggiate, ma porzioni di tessuti organici provenienti da realtà linguistiche indefinitivamente svuotate di autoreferenzialità, perché recuperate fra i detriti dell’esistente.

Il complesso linguistico del linguaggio borghese (linguaggio da sempre salvaguardato dall’amministrazione dei propri interessi) appare nell’Espressionismo come l’esausto boccheggiamento di una farsa menomata: la sua infallibilità viene sistematicamente erosa da un linguaggio critico, pronunciato per smascherarla in tutti i suoi aspetti.

Linguaggio critico contro le verità assolute

Il linguaggio che crede di pronunciare verità ritenute assolute, nell’Espressionismo viene continuamente processato, le sue verità vengono travolte, l’impianto della sua grammatica viene demolito per non dare più coordinate fisse territoriali, ma coordinate per la frequentazione di un linguaggio deterritorializzato.

La scrittura perde il controllo di se stessa
Le verità mese al bando

Nella scrittura non v’è più il controllo di se stessa, essa è praticamente incapace di controllare e controllarsi, raggiunge così il risultato di una domanda che non trova risposta; ha perso ogni contatto con le sue verità rivelatrici, scivola nel centro del mondo ovvero in un centro privo di centro dove è bandita ogni verità, ogni certezza, ogni strada maestra; si disfalda in frammenti linguistici e paradossi metaforici come raccattati fra le macerie di un esistente fatto a pezzi; toglie l’incanto, denuda e sconsacra; ha perso il proprio senso, segno evidente che la sua struttura ideologica non è più a prova di guasto: ora dice cose che non avrebbe mai voluto dire:

Gottfried Benn, Doppia vita… pp. 83-85

MONOLOGO

L’intestino nutrito di moccio, il cervello di menzogne –
Popoli eletti buffoni di un clown,
con lazzi, segni astrali e voli d’uccelli
interpretano la propria lordura! Schiavi –
da paesi freddi e ardenti,
sempre più schiavi, carichi d’insetti,
stuoli affamati, sotto lo schiocco della frusta:
poi si gonfia loro il petto, la loro tignosa peluria,
si ingigantisce in una barba di profeta!
Ah Alessandro e il germoglio d’Olimpia.

Una nullità! Essi adocchiano Ellesponti,
e schiumano Asia! Gonfiori, fanfare
e avanguardie, cortigiani, scaglioni celati
perché nessuno dia fastidio! Cortigiani: buoni posti
per duelli di forza e di diritto! Se nessuno dà fastidio
Cortigiani, commedianti, fasce, larghi nastri.
Di larghi nastri ondeggiano sogno e mondo:
piedi storpi vedono stadi distrutti,
bestie puzzolenti entrano in campi di lupino
perché il suo profumo camuffa il loro odore:
puzza di sterco! – Grassoni
inseguono la gazzella,
l’animale veloce come il vento, la splendida!
Si capovolge la misura:
La pozzanghera mette a prova la sorgente, il verme il braccio,
il rospo sputa in bocca alla violetta
-alleluja!- e si affila il ventre tra i ciottoli:
Un pascolo di zampe, monumento ammonitore della storia!
Ai Tolomei danno il cambio i banditi. Il ratto appare ristoro alla peste.
Il traditore canta l’assassinio. Spie allettano
dai Salmi l’impudicizia.


E questa terra sussurra con la luna,
poi si cinge i fianchi di festa di maggio
e fa sbocciare rose, e cuoce grano;
non lascia che il Vesuvio sputi, non fa della nuvola una liscivia
per trafiggere e incenerire la razza di bestie
che ha inventato queste cose
Ah, gioco di frutta e di rose di questa terra
è esposto alla piovra del male,
alla spugna del cervello, la gola, cavalletta di menzogne
la schiatta già detta… questa terra capovolta!


Morire è lasciare tutto questo insoluto,
lasciare le immagini indifese, lasciar morir di fame i sogni
nella fessura dei mondi.
Ma agire è servire la bassezza,
dare aiuto alla vergogna, e con colpo proditorio
abbattere la solitudine, la grande chiave delle visioni,
il desiderio del sogno,
per vantaggio, ornamento, promozioni e fama,
mentre la fine che barcolla come una farfalla
indifferente come scheggia è vicina
e proclama altro senso…
-Un suono, un arco, quasi un balzo dall’azzurro
attraversò una sera il parco
in cui io stavo-: un canto,
tre note a caso, accennate,
riempì lo spazio e caricò
la notte e il giardino di molte apparizioni
e creò il mondo e mi affondò la nuca
nel flusso, nella triste,
sublime debolezza della nascita dell’essere:
Un suono, un arco soltanto: -nascita dell’essere-
un arco soltanto e mi riportò la misura
e tutto racchiudeva: l’azione, i sogni…


Da una corona di cervelli scarlatti
giorni di febbri disseminati
che sapranno conservarsi soli:
«Inflessibili nel colore» e «sottilmente lavorati
fino all’ultimo capello», «limati a freddo»
si grideranno, salate salamoie di materia prima:
da cui comincia la metamorfosi! La schiatta delle belve
imputridirà sì che per essa la parola putredine
odora troppo di cieli -e già gli avvoltoi
s’affilano il becco, già i falchi sono affamati!


Il linguaggio del caos senza delimitazioni territoriali

In un mondo incendiato dalla propria morte esistente, che cosa si sarebbe potuto scrivere?
La percezione visiva dell’esperienza dell’espressionista è densa, decostruisce e ricostruisce in ogni istante delle proprie rovine. Il suo linguaggio non deriva dall’ordine fisico di un ordine che in esso si ripercorre, ma dal caos erratico di metafore il cui senso metaforico diviene la segnalazione percettiva di un senso esistenzialmente vuoto, privo di delimitazioni territoriali.

Parola non letta ma vista e sentita

Cosicché la parola non calcola il discorso secondo formule sintattiche fisse, ma si lascia andare a un discorso senza bordi, parla diversamente da come ci si aspetterebbe, è scritta non per esser letta ma per esser vista e sentita corporeamente, ed è concepita come erranza, viaggio senza sosta in un mondo in rovina:

Gottfried Benn Doppia vita… p.82

I quartieri della città crollavano, gli edifici cadevano in fiamme; dopo i bombardamenti i corpi venivano trascinati sulle strade fin dentro nelle case. Per giorni interi mancavano l’acqua, la luce, il gas. Sirene: sciami di bombardieri venivano dal settore Hannover-Braunschweig, erano i grandi americani, mentre di notte da Londra giungevano i piccoli Mosquito. Intanto la propaganda continuava: Kolberg, il “vecchio Fritz”, i voti al Fuhrer, e a chiusura il saluto tedesco che l’esercito, senza ombra di dubbio, doveva rendere a denti stretti.

La parola in rovina ma sempre in azione e brutale

La parola di Gottfried Benn è, dunque, adeguatamente trattata come una rovina, presenta in sé l’ambiente di un Io destrutturato. Quella di Benn è una scrittura che non se la spassa, è sempre in azione dura e concentrata, sempre immersa in un bagno di brutalità.

fabio d'ambrosio editore
via enrico cialdini, 74 - 20161 milano | p.iva 09349370156
sopralespressionismo

GRATIS
VISUALIZZA