L’Espressionismo è un tipo di arte che ha accettato il ruolo del boia: si dà a uccidere il classicismo. Uccide l’arte limitata all’estetica della verosimiglianza. Uccide l’intelletto strumentale, così come l’estetica strumentale.
La tecnica artistica degli espressionisti si dispiega nel bisogno di distruggere e autodistruggersi. Distrugge ogni disfatta dei valori sociali, nella speranza di farli rifiorire lontani dall’emisfero delle ideologie di classe. Si autodistrugge, per stabilire un rapporto diretto non con se stessa e i suoi precetti estetici ma con la vita di strada; non ritrae attraverso il concetto illusionistico dell’immensurabilità, ma della temporalità.
La sua prospettiva non è panoramica ma particolarizzata. È l’interpretazione della tipicità, della natura intima, del marginale, del dettaglio e del frammento, della disomogeneità formale e cromatica, della distruzione delle formule metriche, della decostruzione dell’andamento ritmico delle consonanze.
Nel simmetrico v’è l’eterno; nell’asimmetrico v’è il transeunte.
L’Espressionismo, passando dal travaglio psichico, genera un’arte alla ricerca della perfezione dell’imperfetto. L’uniformità porta sempre al livellamento qualitativo delle forme; l’incalzare delle fissazioni precettistiche ti inquadra in un linguaggio isolato dal resto del mondo: l’Espressionismo aborrisce tutto ciò, con urla che si sporgono oltre il divinizzato, oltre l’eterno. La visione espressionista reintegra se stessa tra i nuovi complessi di sensazioni, si smarrisce in una percettività che sente il mondo su di sé senza le regole imposte dal vecchio Dio.
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza. Adelphi, Milano 1977, p.342Il vecchio Dio è morto.
E, sorprendentemente, anche tutti i paradigmi sensoriali instaurati dal vecchio Dio.
L’Espressionismo persegue liberamente il reale e i suoi nutrimenti, disobbedendo all’assunzione di ordinamenti precettistici intimati da Dio. Il soggettivismo liberatorio espressionista corrisponde, concettualmente, al Dio morto di Nietzsche:
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza… p.377In realtà, noi filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d’attesa, -finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, -finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così “aperto”.
Dio è morto, la creazione può essere ricreata. Può finalmente essere inaugurata una nuova visione per una nuova arte.
La vocazione dell’artista può essere quella di elaborare una nuova estetica emancipata, non più vincolata ai requisiti di una estetica che formi nuove convenzioni, a partire dai contenuti sviluppati dalle vecchie convinzioni. Anche per l’arte vale ciò che vale per la scienza:
Friedrich Nietzsche, La gaia scienza… p.205Nella scienza le convinzioni non hanno alcun diritto di cittadinanza… (…), soltanto quando la convinzione cessa di essere convinzione, può ottenere accesso nella scienza? La disciplina dello spirito scientifico non comincerebbe forse qui, nel non concedersi più convinzione alcuna? … Probabilmente è così…
Ed è così anche per l’Espressionismo: la responsabilità dell’artista sta tutta nell’osservare criticamente il mondo, senza cadere nella debolezza di istituire un’arte che parta, con l’impiego dei propri mezzi estetici, da convinzioni e convenzioni incapaci di spingersi oltre il dominio di convinzioni convenzionalizzate da convenzioni pre-costituite.
L’agente estetico dell’Espressionismo è l’asimmetricità dei punti di vista, la regola è non servirsi di regole: non più regole connesse alla reificazione del passato; non più regole riducibili alla negazione della libertà di pensiero. Piuttosto regole reinventate per la costruzione di nuove e inusitate visioni.
Per ogni punto fermo, per ogni ferma convinzione… esistono regole che víncolano l’arte non già all’abissalità del mistero, ma a verità sancite da dogmi di estetica che hanno -definitivamente- stabilito che il fulcro dell’arte debba essere il definito, la forma chiusa, misurata sulla propria compattezza e tangibilità, in cui prevalga l’immobilità dell’equilibrio che, attrezzata di schematismi, inquadri la pienezza, la staticità cubica, la fermezza idealizzata, l’ineffabilità sentimentale, la verità precettiva e assiomatica.
Ma la verità non cerca, poiché ha già trovato. La verità ha il suo Dio; ha come Dio se stessa e ciò che per sé crede che sia la verità. L’artista espressionista non crede al dogma della verità, e la sua operosità artistica non incarna quella del saggio. Non è saggio infatti opprimere il fruitore di un’opera d’arte con una estetica affatto piacevole e distensiva, ma inquietante.
L’opera espressionista è radicalmente dotata del potere di dispiacere più che piacere. E in questo non v’è nulla di saggio: non è saggio l’aver concepito un’espressione d’arte che non piaccia, che non diletti piacevolmente l’occhio. L’Espressionismo fastidisce la visione di chiunque cerchi nell’arte l’immagine posata, equipaggiata di equilibrio, corredata di figure che si rifanno al Bello classico, fornita di statica staticità. Per l’espressionista un pezzo di pittura non ha il compito di arredargli il salotto.
È piuttosto una pittura (un quadro, come quello di Bacon) che «disordina le pareti», poiché
Il muro si aggrapperà al quadro
Philippe Sollers, Le passioni di Francis Bacon. Abscondita, Milano 2003, p.57non si arriverà ad appenderlo, a localizzarlo, ad adattarlo. Non sarà il quadro a essere appeso al muro: sarà il muro, ad un tratto, ad appendersi disperatamente al quadro, a cancellarsi, a scorrere o a crollare.
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