Reprimere del solito il suo solito vale per l’Espressionismo venire dal profondo, da un luogo che si estende nell’inconscio e nell’interiorità del corpo della terra.
Nell’estendersi in quella interiorità (ne la «bocca tartarea aperta et divorante anime…, nel Vulcano… che porta il fuoco semplice…, sotto l’antro l’hetere, il fuoco elementale, l’incendio universale, il fuoco nostro, l’incendio particolare, favilla, fiamma, carbone et cenere…»),
nell’estendersi nel mondo ctònio e nell’abisso viscerale dell’inconscio, l’Espressionismo arriva sino in fondo a ciò che sta in superficie alla superficie:
L’arte espressionista affonda i suoi aculei nell’inconscio, e lì si dà a strappare carne viva, e il materiale grezzo di un disorientamento della coscienza.
Nell’arte espressionista non v’è nulla di aggraziato, poiché gli elementi negativi dell’esistenza comunicano un dramma esistenziale che, imperniato sulla disintegrazione dell’Io, trova significato nella rottura del conformismo, nel flusso di una tensione espressiva che non cede mentalmente ed emotivamente alla fantasticheria e all’autoreferenzialità, ma che presta profonda attenzione al corpo della collettività e alla visualizzazione del suo mancato benessere spirituale.
Non vi sono punti di riferimento nella precarietà della bocca tartarea, lì vige l’eterno cambiamento, il transeunte, il relativismo, e tutto sembra prendere corpo nell’esperienza autodistruttiva di un mondo che traballa sin dalle proprie fondamenta. Nell’àlveo di un’esperienza sociale che vive il proprio crollo… anche l’aria che vi si respira ispira malessere e odora di dubbi.
L’Espressionismo non persegue l’obiettivo di nascondere tutto questo, anzi lo interroga, lo rappresenta, lo sedimenta nel tentativo di condurci in quel surrogato di vita per farci toccare materialmente il suo vuoto. Proponendoci di vedere ciò che il sistema corrotto dell’umana esistenza provoca, crea del colore libero di muoversi in una sensazione di soffocamento.
La propria esperienza personale diviene, per l’artista espressionista, universale. Chi vive il proprio tempo sino a subirlo nella buona e cattiva sorte non è l’io, il singolo punto, ma il noi: l’uomo sociale, la nevrosi vissuta da tutti, il dolore sofferto da chiunque si trovi a dover fare i conti con la propria società, la fatica di sopravvivere, consapevole dei propri inutili gesti ereditati da un mondo imprigionato in una mancata esistenza.
Quel noi è costellato di soggetti che non hanno nulla del singolo uomo; in quel noi si polarizza un mondo di cose e di persone segnate dall’assurdità di un dramma collettivo, di una società che si deteriora nel subire le storture di coloro che la rappresentano.
L’Espressionismo è anche “sovrappiù sensoriale”: i sensi assorbono nuove prospettive condensate in orizzonti mai visti, lungi dai panorami categoriali di elaborazioni tattili sistematizzate.
Con l’Espressionismo si entra nell’approfondimento dei sensi; non si percepisce più secondo la subordinazione dei sensi al senso pratico; ogni senso viene superato dall’altro senso: uscendo dalla propria ordinarietà, i sensi si emancipano prendendo l’uno dall’altro, dando vita a una prensione sensoriale che rende a più dimensioni il sentito.
L’Espressionismo disvela ciò che è velato e vela ciò che è disvelato; è impenetrabile al senso comune, trascende e supera ogni distinzione sensoriale archetipica.
L’espressionista assume i modi del sentire attraverso sensi ancora in via di formazione.
Nulla nell’Espressionismo si è ancora formato, tutto sta per nascere.
L’Espressionismo non ammette infatti che il visto resti visto dal già visto.
Lo sguardo dell’Espressionismo è uno sguardo che guarda all’accaduto come qualcosa che sta sempre accadendo; non si riempie mai di ciò che vede ma di ciò che deve ancora vedere nel già visto.
L’Espressionismo ci riporta violentemente alla quotidianità del vissuto: le cose sotto il suo sguardo o perdono il loro fascino… o divengono ancor più fascinose; o le vediamo vivere sotto una luce che non ha nessun carattere luminoso per essenzializzarcele… o le riscopriamo come sotto una nuova luce capace di essenzializzarcele.
Eccoci dunque allo sguardo bambino dell’Espressionismo: con la sua ipersensibilità svela tutto ciò che è precluso a uno sguardo ordinario; porta lo sguardo adulto ad accettare il rischio di vedere -nel bene e nel male- oltre il veduto.
Nulla nell’Espressionismo si è ancora formato, tutto sta per nascere.
L’Espressionismo non ammette infatti che il visto resti visto dal già visto.
Lo sguardo dell’Espressionismo è uno sguardo che guarda all’accaduto come qualcosa che sta sempre accadendo; non si riempie mai di ciò che vede ma di ciò che deve ancora vedere nel già visto.
L’Espressionismo ci riporta violentemente alla quotidianità del vissuto: le cose sotto il suo sguardo o perdono il loro fascino… o divengono ancor più fascinose; o le vediamo vivere sotto una luce che non ha nessun carattere luminoso per essenzializzarcele… o le riscopriamo come sotto una nuova luce capace di essenzializzarcele.
Eccoci dunque allo sguardo bambino dell’Espressionismo: con la sua ipersensibilità svela tutto ciò che è precluso a uno sguardo ordinario; porta lo sguardo adulto ad accettare il rischio di vedere -nel bene e nel male- oltre il veduto.
SLIDE 1
SLIDE 3
L’Espressionismo ci riporta violentemente alla quotidianità del vissuto: le cose sotto il suo sguardo o perdono il loro fascino… o divengono ancor più fascinose; o le vediamo vivere sotto una luce che non ha nessun carattere luminoso per essenzializzarcele… o le riscopriamo come sotto una nuova luce capace di essenzializzarcele.
Eccoci dunque allo sguardo bambino dell’Espressionismo: con la sua ipersensibilità svela tutto ciò che è precluso a uno sguardo ordinario; porta lo sguardo adulto ad accettare il rischio di vedere -nel bene e nel male- oltre il veduto.
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