A ben vedere, io ritengo appartenga a un linguaggio espressionista anche Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Mallarmé.
Non sembrano le parole (nella maniera con cui sono state sulla pagina disposte) non differire affatto dal linguaggio di un bambino che stia per intraprendere un discorso per la prima volta, quando ancora il suo linguaggio è affetto da una certa disorganizzazione lessicale che lo frantuma e lo spezza quasi fosse disturbato da un impulso perturbato da emotività?
E non sembra quel discorso frantumato proporzionarsi al linguaggio di un selvaggio (così tanto mitizzato dall’arte espressionista) che tenti anch’esso per la prima volta di inventarsi verbalmente un linguaggio con cui poter comunicare?
Ma non sono solo queste le ragioni per le quali dichiaro che Un coup de dés jamais n’abolira le hasard è un’opera poetica espressionista. La sua frantumazione linguistica, non è forse associabile a quella della poesia di Gottfried Benn, e alle soluzioni pittoriche degli espressionisti?
Ferruccio Masini, Alle scogliere del nulla in Gottfried Benn, Morgue… p.12In Benn, la distruzione della “scatola spaziale” per frantumazioni deformanti e intersecazioni di piani ricorda piuttosto i procedimenti dei pittori della Brücke e particolarmente il Kirchner dell’esperienza berlinese, allorché la lezione cubista si sovrappone alla tecnica del cloisonnisme.
Con Mallarmé si va oltre il suggerimento di un’immagine visiva: con la disposizione tipografica delle parole darà figurativamente una fisionomia schizofrenica al testo: il linguaggio, animato da dinamismo plastico, si muoverà sulla pagina non più linearmente ma rotto in tanti frammenti, quasi a voler restituire la visione retinica di uno schizofrenico, o un linguaggio affidato al gioco dei bambini.
In Un coup de dés jamais n’abolira le hasard (Un colpo di dadi mai abolirà il caso), le parole sembrano gettate a caso sulla pagina: si ricompongono in un assemblage di frammenti e ritagli.
È il gioco del dado gettato: ad ogni gettata, una delle facce darà sempre un numero precostituito, ragion per cui il caso -a cui il dado è soggetto- non darà mai un numero per caso. Eppure, è il gioco del caso che su queste pagine prende graficamente forma.
La scrittura si fa visiva e oggettuale: le parole sono tipograficamente come disposte a caso (sembrano anticipare la lirica collage del Dadaismo: parole ritagliate da giornali, messe in un cappello e lì… ripescate a caso), interagiscono con la pagina a mo’ di frantumi, strutturando un discorso sì frantumato ma dagli effetti semantici dinamici (il dinamismo è dato dall’anticipazione della tecnica pittorica cubista:
il discorso è stato frantumato perché -nel ricostruirlo a frantumi- possa essere fruito tridimensionalmente in tutti i suoi aspetti; è sul frammento che il nostro sguardo si concentra di più, poiché è il frammento
ad avere la facoltà di evocare l’insieme di un insieme).
La superficie del foglio infatti non è un caso che comunichi non più con un discorso lineare, ma con frantumi di parole che dinamicamente interagiscono in forma di micro-testi: le parole cioè sono anche segni visivi che, presi singolarmente, determinano sulla pagina un discorso fratto in più discorsi, il cui gioco percettivo rimanda sempre (in qualità di un pluralismo
discorsivo) a un’opera cubista che, frantumata in più piani che si compenetrano, ci restituisce la sua tridimensionalità con un effetto poliedrico.
In questo poemetto -è Mallarmé stesso a dirlo in una sua Prefazione– sono i
Stéphane Mallarmé, Poesia e prosa. Guanda, Milano 1982, pp.339-340“bianchi”… ad assumere importanza, colpiscono subito; li esigeva la versificazione, come silenzio interno, ordinariamente, al punto in cui un pezzo, lirico o di pochi piedi, occupa, in mezzo, circa la terza parte del foglio: io non trasgredisco questa misura, la dissemino
soltanto.Parole vicine o lontane in ragione della
verosimiglianza che il testo imponeLa carta interviene ogni volta che un’immagine, da se stessa, finisce o ritorna, accettando la successione di altre e, poiché non si tratta, come sempre, di tratti sonori regolari o versi –piuttosto di divisioni prismatiche dell’Idea, l’istante della loro comparsa e finché dura il loro concorso, in qualche messa in scena spirituale esatta, è a posti variabili, vicino o lontano dal filo conduttore latente, in ragione della verosimiglianza, che il testo si impone.
Il ritmo sulla PaginaIl vantaggio, se posso dirlo, letterario di questa distanza copiata che separa mentalmente gruppi di parole o le parole fra loro, sembra riporsi nell’accelerare d’un tratto e rallentare il movimento, scandendolo, imitandolo persino con una visione simultanea della Pagina:
questa considerata per unità come accade altrove per il Verso o la linea perfetta.
La finzione affiorirà e si dissiperà, subito, secondo la mobilità dello scritto intorno alle soste frammentarie di una frase capitale fin dal titolo introdotta e continuata. Tutto avviene, riassumendo, in ipotesi: si evita il racconto.Ritiri, prolungamenti e fughe come una partituraAggiungere che questo uso a nudo del pensiero con ritiri, prolungamenti, fughe, o il suo disegno stesso, risulta, per chi voglia leggere ad alta voce, una partitura. La differenza dei caratteri tipografici fra il motivo preponderante, uno secondario ed altri adiacenti, detta la propria importanza all’emissione orale e il rigo, in mezzo, in alto, in basso della pagina, scriverà musicalmente il salire o il discendere dell’intonazione.
Inoltre aggiungiamo: il poemetto di Mallarmé sembra organizzato a chius’occhi. Tronconi di frasi sembrano usciti da un discorso sregolato. Il discorso a sua volta sembra contenere i resti di un mondo proveniente dal
linguaggio delle sue stesse rovine. Le frasi si susseguono senz’ordine, non assicurano un senso ma più sensi.
È l’allegoria della babele dei linguaggi.
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