Il Grottesco attinge materiale espressivo in quelle zone del corpo che non sono mai state ripulite dei loro batteri caratteriali. È là che vi coglie gli assurdi comportamenti della psicologia umana.
Anche il ritratto della disorganicità della città viene fortemente reso visibile dal Grottesco. L’egemonia del frammento fa della città espressionista uno spazio autobiografico. Nella sua atmosfera logorata, anche i piccoli spazi compaiono ossessivamente disperati, e ci raccontano del loro assetto urbanistico riempito di vuoti nevrotizzati.
La città espressionista ci infastidisce col suo esplicito rifiuto di registrare una urbanistica idealmente ordinata e funzionale. In essa anche l’architettura è stata ritratta nella sua emarginazione, prèdica l’esercizio isolato di un individuo consumatosi nella disperazione, si dispera della propria alienazione, ed è impotente di fronte all’assetto sociale che l’ha così sostanzialmente degradata.
In essa… si specifica la forma architettonica disorientata dalla propria disorganicità. In essa è il caos che vi circola in tutte le sue formalizzazioni ideologiche. Eppure lo shock che il caos urbanistico provoca, è pieno di terrificanti suggestioni, ed è ciò che per l’espressionista più conta cogliere.
Ed eccoci -in Liebknecht morto– a un inquieto contrasto fra la monotonia quotidiana, scandita dalle «sirene delle fabbriche» che sbadigliano «all’infinito/fischi tonanti» «su tutta la città», e l’evento straordinario segnato dall’uccisione di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, avvenuta durante una manifestazione insurrezionale della Lega Spartachista (Spartakusbun) il 15 gennaio 1919.
Il cadavere di Liebknecht si espande come un urlo su tutta la città, alla stessa guisa delle sirene delle fabbriche. Ma, tale avvenimento straordinario echeggerà nell’aria a vuoto poiché non servirà neppure a modificare per un attimo l’andazzo quotidiano dei lavoratori, tant’è che le sirene ugualmente (impassibilmente) saranno scandite dal loro suono meccanico, tradizionalmente emerso dal mandato industriale.
Tale impassibilità senza scrupoli viene però ugualmente intaccata grottescamente dal sorriso della salma di Liebknecht: contro quella reazionaria monotonia, espressa dai «fischi tonanti» delle sirene (sinonimo di una civiltà industriale repressiva), la salma a dispetto di tutto -persino della propria fine- lancia un sorriso che suona implicitamente come l’espressione di una inesausta lotta sociale che continua a sancire, persino dalla sua morte, un sorriso di incoraggiamento a non desistere dalla lotta intrapresa.
Poeti espressionisti tedeschi. Dai precursori ai dadaisti. Feltrinelli, Milano 1970, p.149LIEBKNECHT MORTO
La sua salma giace in tutta la città,
in tutti i cortili, in tutte le strade.
Le stanze tutte sono sfinite
dal continuo fluire del suo sangue.
Ecco già le sirene delle fabbriche
cominciano a sbadigliare all’infinito
fischi tonanti, a stridere vuote,
su tutta la città.
E con un bagliore
sui chiari,
denti fissi,
la salma sua
incomincia a sorridere.
La città qui è la metafora di uno status quo arrogante: scandisce con le fabbriche una quotidianità inchiodata alle loro regole; uccide chi è consapevole che l’alienazione porta all’articolazione di un’esistenza insulsa, contro la quale occorre necessariamente ribellarsi se si vuole sopravvivere o morire dignitosamente.
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