Dalla rappresentazione del Grottesco… la natura non equivoca più la sua stessa natura.
La realtà, inscritta nell’animo perverso degli umani, in Kubin non giace più inascoltata nel profondo dell’inconscio, ma viene eviscerata, liberata da quelle segrete per essere portata alla luce con tutta la sua sconcia, deridente, orripilante seduttività, perché riveli un mondo non più attraverso un occhio che equivochi la realtà, ma attraverso un occhio caustico e mordace nell’esumare veracemente ingenti quantità di incubi di un mondo perennemente mostruoso e atroce.
In Kubin siamo inoltre alla rappresentazione di una vita universale. Kubin desidera, della vita vegetale, animale, umana, conoscere tutto: luci e ombre.
Alfred Kubin, Demone e visioni notturne… pp. 66-67Ora mi attirava di più la vita universale, che opera così misteriosamente negli uomini, negli animali, nelle piante, in ogni pietra, in ogni cosa animata e inanimata. Erano ancora masse umane e greggi di animali, splendore e marciume, il vizio rigoglioso e la nauseante
putrefazione, il culto del sublime e il dolore incomposto, insomma tutto ciò che da sempre aveva occupato il mio cuore…
Se Kubin cita gli opposti «splendore e marciume», «sublime e dolore» è perché la natura stessa del Grottesco è ambivalente e si mostra sempre a
doppio senso.
Il Grottesco è ironico e drammatico allo stesso tempo, per questo si esprime meglio attraverso un’arte che si risolva, esteticamente, sugli stessi requisiti che un dramma in sé possiede: la sublimazione dell’ideale e l’umiliazione dello stesso; il movimento dei personaggi sulla scena, ora rettilineo ed elicoidale ora curvilineo; la scena orrifica con la paradossalità delle sue atrocità sconfortanti; e la scena idilliaca soddisfatta del suo status sentimentale e romantico; il Bello, cercatore di bellezze, e il Brutto segnato dalle esperienze dolorose dell’esistenza; l’equilibrato attraente e il deforme repellente; la staticità torpida dell’ordinario e il dinamismo tumultuante ed eversivo dello straordinario… Un’opera che calchi le impronte del dramma, è senz’altro più idonea a rappresentare il Grottesco in tutto il suo essere bifronte e bisessuato, e ciò perché è l’esistenza stessa ad assegnarci la dimensione dei contrarii: gioia e dolore, vita e morte. Nessuna idealizzazione del vissuto nel dramma, solo l’esperienza dolorosa di un’esistenza dolorosa.
Victor Hugo ci ricorda:
Il cristianesimo e l’ambivalenza, la poesia come armonia dei contrariDal giorno in cui il cristianesimo ha detto all’uomo: “Tu sei duplice, tu sei composto di due esseri, mortale l’uno, immortale l’altro, l’uno carnale, l’altro etereo, incatenato l’uno dagli appetiti, dai bisogni e dalle passioni, trasportato l’altro sulle ali dell’entusiasmo e del sogno: infine, l’uno sempre ricurvo verso la terra, sua madre, l’altro incessantemente proteso verso il cielo, sua patria”; da quel giorno il dramma è stato creato. Che altro è, infatti, questo contrasto di tutti i giorni, questa lotta di tutti i minuti tra due principii opposti, sempre presenti nella vita, e che si contendono l’uomo dalla culla fino alla tomba?
Il Sublime e il Grottesco si incrociano nel drammaLa poesia nata dal cristianesimo, la poesia del nostro tempo è dunque il dramma; il carattere del dramma è la realtà; la realtà nasce dalla combinazione del tutto naturale di due tipi, il sublime e il grottesco, che si incrociano nel dramma, come si incrociano nella vita e nella creazione. Perché la poesia vera, la poesia completa, è nell’armonia dei contrarii.
Il Grottesco, come il dramma, spoglia la realtà, strappandole di dosso la superficie sotto cui se ne sta avvedutamente nascosta. Il Grottesco spinge allo scoperto la realtà, ecco stanata l’implacabile violenza sterminatrice degli uomini, la furfantería, le Erinni forsennate, l’Orso infuriato, il flusso di ventre di Satanasso, il genio malefico di Lucifero, la scienza maliarda di Mefistofele, il cannibalismo del conte Ugolino, il turbamento invasato e annientatore di
Medea, l’eccentricità teratologica dei Minotauri, dei Grifoni, delle Arpie, dei Vampiri.
Guardando al Grottesco, si ha sempre la sensazione di nuotare faticosamente nelle acque dantesche di Flegetonte (nelle acque del quale sguazzano i
sanguinari), di Stige (nell’impaludamento del quale gli iracondi scontano le proprie pene), di Cocito ridotto a ghiaccia da Dite (entro cui son suppliziati i traditori), dell’Acheronte (su cui l’infernal nocchiero, Caronte, imbarca le anime per trasportarle nel luogo del loro ultimo dolente viaggio).
Anzi, direi che il Grottesco non è che l’infinitesima parte di Caronte: come questi, il Grottesco ci accompagna nell’inferno della nostra civiltà, perché si osservi da vicino quel brulicar di incubi (sorti dalla nostra esistenza).
Qual è la sostanza della parola poetica espressionista se non l’incondizionata lealtà verso una lotta sociale, che tragga alimento dal desiderio di migliorare la vita, contraddicendo il modello straziante della guerra, rendendo consapevole chi inconsapevolmente si rende disponibile all’autodistruzione?
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