E quale sarebbe il limite che separa la malignità umana da quella della natura?
Il Terremoto di Messina, opera realizzata da Max Beckmann nel 1908 (anno in cui accadde quell’immensa sciagura), abbatte le frontiere fra i due poli, facendoli compenetrare quasi fossero insieme proiettati verso un unico scopo.
Il lato maligno della natura viene rimarcato da un gruppo di corpi da essa violato: i sopravvissuti alla catastrofe hanno assaporato ciò che di peggio c’è nella forza violenta della natura, sembra un proscenio emerso dall’oltretomba, su cui viene rappresentato un atto concepito per opera maligna: corpi nudi dalla muscolatura aggredita da contorsioni che, sia pure sfiancati dal trauma subíto, si muovono guarniti da una sofferenza che li fa torcere. In questa scena vi persistono tonalità cromatiche tendenti a marroni ottusi e grevi, caricati di torbidiccio. L’atmosfera è motosa, i corpi son stati ammelmati da tonalità di carnicino infangato. La natura è stata zelante nella sua capricciosità: ha riportato tutto alla sua forma limosa e terrosa.
Il Terremoto di Messina, opera realizzata da Max Beckmann nel 1908 (anno in cui accadde quell’immensa sciagura), abbatte le frontiere fra i due poli, facendoli compenetrare quasi fossero insieme proiettati verso un unico scopo.
Il lato maligno della natura viene rimarcato da un gruppo di corpi da essa violato: i sopravvissuti alla catastrofe hanno assaporato ciò che di peggio c’è nella forza violenta della natura, sembra un proscenio emerso dall’oltretomba, su cui viene rappresentato un atto concepito per opera maligna: corpi nudi dalla muscolatura aggredita da contorsioni che, sia pure sfiancati dal trauma subíto, si muovono guarniti da una sofferenza che li fa torcere. In questa scena vi persistono tonalità cromatiche tendenti a marroni ottusi e grevi, caricati di torbidiccio. L’atmosfera è motosa, i corpi son stati ammelmati da tonalità di carnicino infangato. La natura è stata zelante nella sua capricciosità: ha riportato tutto alla sua forma limosa e terrosa.